Si è conclusa la procedura di acquisizione da parte della Provincia del patrimonio Caproni, il pioniere dell'aeronautica nativo di Arco e promotore del primo museo
dell'aeronautica basato su reperti originali. Venerdì la giunta ha approvato la relativa delibera e nei prossimi giorni si arriverà alla firma. «Posso solo confermare -
afferma l'assessore alla cultura Franco Panizza - che i rapporti più che positivi e costruttivi con la famiglia Caproni di Taliedo hanno portato a concludere la procedura con
la comune volontà di valorizzare questo straordinario Museo, il più importante al mondo per velivoli e reperti originali. Nei prossimi giorni daremo i dettagli in una
conferenza stampa».
L'iter amministrativo per stabilizzare, di concerto con l'Associazione «Museo Aeronautico Gianni e Timina Caproni di Taliedo», la collezione aeronautica Caproni, finora
affidata alla Provincia a titolo di comodato gratuito, facendola a tutti gli effetti patrimonio pubblico, era partito a fine 2011. Ora il Museo di Mattarello può essere
valorizzato e rilanciato. Intanto va completato il restauro di molti reperti. Poi ci sono le iniziative in cantiere. «Il Museo - sottolinea Panizza - sarà valorizzato in
previsione del centenario della Grande Guerra. Intanto è in corso il recupero del carteggio fra Caproni e Gabriele D'Annunzio, in collaborazione con la Fondazione Vittoriale.
Ed è in preparazione la docufiction, diretta dal regista Mauro Vittorio Quattrina, su un altro protagonista trentino della conquista dell'aria, Guido Moncher da Coredo».
Il docufilm è stato realizzato con la consulenza del Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni di Trento e la collaborazione del Servizio attività culturali della Provincia autonoma di Trento.
Giovanni Battista Caproni nasce a Massone, piccola frazione di Arco, il 3 luglio 1886, da Giuseppe, geometra e agrimensore, e da Paolina Maini. Compiuta l’istruzione elementare,
il giovane Gianni frequenta la Scuola Reale Elisabettina di Rovereto, per poi iscriversi al Politecnico di Monaco di Baviera, dove si laurea ingegnere civile il 10 agosto 1908.
Quindi si trasferisce a Liegi per frequentare un corso in elettrotecnica. Qui incontra il rumeno Coanda, appassionato di studi aviatori. Dopo la formazione scolastica compie
viaggi a Parigi alla ricerca di finanziatori e contatti internazionali per il suo obiettivo primario: la costruzione del suo primo aereo.
Rientra ad Arco nel 1909 e inizia la costruzione del suo primo biplano, con l’aiuto del fratello Federico e di alcuni artigiani del luogo. Questo prototipo, in seguito battezzato
Ca.1, vola per la prima volta il 27 maggio 1910 alla cascina Malpensa, nella brughiera di Somma Lombardo. Dopo il trasferimento dell’attività nella vicina Vizzola Ticino, alla
fine del 1910 inizia per Caproni un triennio di serie difficoltà economiche che gli impongono, nel 1913, la vendita delle officine allo Stato. Tuttavia, l’attività di questi primi
anni è caratterizzata da uno straordinario fervore di costruzioni e dalla transizione dalla formula biplana a quella monoplana. Restano, a testimonianza di questo periodo, il
biplano Ca.6 e il monoplano Ca.9, entrambi esposti al Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni di Trento.
Nel biennio 1913-14 Caproni porta a termine i progetti per un bombardiere strategico biplano trimotore, che sembrava tradurre nella realtà le altrettanto preveggenti dottrine sul
dominio aereo formulate negli stessi anni da Giulio Douhet, allora comandante del battaglione Aviatori. Le commesse militari giunte per la costruzione di mezzi come questo, a
partire dall’ingresso dell’Italia in guerra nel 1915, richiedono l’ampliamento delle officine di Vizzola e la costruzione di quelle di Taliedo, a Milano. Ne deriva una massiccia
fornitura di bombardieri biplani e triplani che, con il progredire degli eventi bellici, orienta sempre più l’utilizzo del mezzo aereo in senso strategico, influendo in misura
significativa sull’esito del conflitto.
Al termine della Grande Guerra s'impone la riconversione della produzione bellica per impieghi civili, in particolare orientandola al trasporto passeggeri: fra gli esiti più
originali merita senz’altro una citazione il gigantesco e profetico progetto del Ca.60 “Transaereo”, concepito per collegare le due sponde dell’oceano. Il Museo dell’Aeronautica
Gianni Caproni conserva gli unici pezzi giunti fino a noi di del gigantesco prototipo destinato a trasportare cento passeggeri seduti. Gli anni Venti segnano la ripresa
dell’azienda, grazie a nuove commesse statali, e il passaggio dalle strutture in legno a quelle in tubi saldati. Sono gli anni in cui Caproni avvia un sistema di produzione e
distribuzione che dall’Italia si allarga a diverse filiali estere, fra cui quelle negli Stati Uniti e in Bulgaria. L’azienda diviene quel “Gruppo Caproni” di cui sarebbero entrati
a far parte, negli anni Trenta, marchi gloriosi come “Isotta Fraschini”, “Officine Meccaniche Italiane Reggiane” e “Cantieri Aeronautici Bergamaschi”, arrivando a contare diverse
decine di migliaia di dipendenti. L’enorme produzione di aeroplani Caproni di quel periodo spazia dai giganteschi bombardieri (quale il Ca.90), ai mezzi da trasporto, appoggio e
soccorso sanitario, fino ai piccoli aeroplani da turismo e addestramento, dei quali il Ca.100 è senz’altro il più famoso (uno splendido “Caproncino” idrovolante è oggi esposto
all’ingresso del Museo di Trento).
Vanno poi ricordati i molteplici interventi promossi dall’industriale trentino a sostegno dell’economia nella sua terra natale, come il grande stabilimento aeronautico realizzato
a Gardolo, poco distante da Trento, alla fine degli anni Trenta, e la sua succursale di Arco, dove Caproni aveva aperto negli anni precedenti una scuola per operai meccanici e un
calzaturificio. L’entrata dell’Italia nella Seconda guerra mondiale, alla quale Caproni è nettamente avverso, costringe ad un importante accrescimento dell’attività a scopi
bellici. Si presentano ulteriori esempi dell’eccellenza della produzione aeronautica del Gruppo, una fra tutti la serie di caccia nati dalle “Officine Reggiane”, dei quali
sopravvivono oggi pochissimi esemplari. Il Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni conserva l’unico caccia Reggiane RE.2000 (in prestito da Aeronautica Militare) ed espone la parte
posteriore della fusoliera di un Reggiane RE.2005, unico frammento rimasto al mondo del famoso “Sagittario”.
La guerra porta alla distruzione, sotto i bombardamenti alleati, di diversi stabilimenti e, dopo l’armistizio del 1943, alle requisizioni delle truppe tedesche, cui Caproni cerca
in ogni modo di opporsi difendendo maestranze e impianti dalla deportazione. Ma il Gruppo industriale non si risolleverà più dalle macerie del conflitto. Nel 1946, Gianni Caproni
esce pienamente assolto da una denuncia per collaborazionismo, ma le conseguenze del procedimento interferiscono negativamente sulla riconversione del sistema produttivo.
Benché i progetti intrapresi siano contraddistinti dalle consuete caratteristiche di qualità e di anticipo sui tempi, come dimostrano i casi dell’aerotaxi Ca.193 o del Caproni
Trento F.5 (entrambi esposti oggi al Museo di Trento), il gruppo è avviato ad un drastico ridimensionamento, terminato con la cessione dello stabilimento di Trento, nel 1955. Non
mancano comunque alcune affermazioni, come la moto “Capriolo”, prodotta negli stabilimenti trentini, che conquista importanti successi sportivi in Italia e all’estero. Il
fondatore e protagonista di questa epopea industriale muore a Roma il 27 ottobre 1957, appena tre mesi dopo aver ricevuto dal presidente Dwight Heisenhower il riconoscimento della
"American Aeronautical Society". Il Caproni-Vizzola C22J, bireattore per addestramento, oggi esposto in Museo, rappresenta l’ultima testimonianza della parabola dell’imponente
apparato industriale creato da Gianni Caproni e terminato nel 1983, con la concentrazione nella “Giovanni Agusta”.